Sanità

Serve una riforma radicale

di Saverio Collura

Ogni anno solare, nel mese di ottobre, si ripropone in modo ricorrente ed ineluttabile l’autunno nei suoi risvolti stagionali, ambientali e climatici; ed anche la legge di stabilità (ex legge finanziaria) con le sue consuete, stucchevoli e stereotipate ritualità. Mentre l’autunno contiene in sé la certezza che tutto ritroverà una sua nuova prospettiva, e quindi una rinnovata vitalità; la legge di stabilità invece ripropone le sue inutili, se non dannose schermaglie: il governo che attacca a testa bassa “i burocrati di Bruxelles“, additandoli come il primo problema nazionale; lo scontro sistematico tra l’esecutivo nazionale e la consulta delle regioni, che non trovano di meglio che scambiarsi reciproche accuse sui drammatici e catastrofici eventi connessi alla gestione del servizio sanitario. Sino a qualche anno addietro c’era anche il consueto scambio di violenti accuse tra il sindacato (il governo crea una macelleria sociale) ed il premier di turno, che con monotona ripetizione presentava la legge di bilancio come la chiave di volta e la panacea della crisi dell’Italia. Oggi (è un bene, è un male?) questa ultima diatriba sembra aver perso di incisività; ma le altre due questioni sono ancora nella fase di acuta criticità. In particolare lo scontro e lo scambio di accuse in atto sull’entità ed il futuro dei finanziamenti della spesa sanitaria è centrale, e foriero di forti preoccupazioni per le tensioni e gli allarmismi che spesso ingenera nell’opinione pubblica, ed in particolare nei ceti medi della società italiana: tutto ciò non è escluso che possa essere una significativa concausa della crisi in atto dei consumi (con eccezione del settore auto), facilmente riscontrabile per l’aumento dei risparmi privati, oggi parcheggiati nei depositi bancari. Dover ogni autunno percepire attraverso l’informativa del sistema dei mass-media che le regioni minacciano di dover tagliare i livelli di assistenza sanitaria; o prendere atto delle denunce politiche del governo circa l’inefficienza gestionale delle regioni stesse è certamente motivo di disordine gestionale-amministrativo, e nel contempo di grave indeterminatezza di prospettiva. Se a ciò poi si aggiunge che il sistema sanitario nazionale doveva rispondere all’obiettivo dell’unitarietà, della qualità, e dell’efficienza nell’erogazione delle prestazioni agli utenti, allora non possiamo che prendere atto che l’obiettivo è sostanzialmente disatteso. Rispetto all’unitarietà nella gestione, dobbiamo constatare la frammentazione in 20 articolazioni disomogenee (tale è la realtà del servizio sanitario nelle singole regioni); ed ancora nessuno oggi può sicuramente sostenere che “i livelli essenziali di assistenza (Lea)” possano essere ritenuti omogenei ed uniformi nelle 20 regioni; in alcuni casi addirittura possono risultare disomogenei anche nei diversi territori di ogni singola unità geografica. Men che meno si può parlare di unitarietà di efficienza, se osserviamo le difformi e disarticolate tempistiche nella risposta alla domanda dell’utente di ottenere prestazioni in tempi ragionevoli. Siamo in sostanza in presenza di un sistema con evidenti ed accentuati sintomi e situazioni di patologico comportamento. È superabile tutto ciò con l’attuale assetto di due istituzioni che operano con competenze articolate (il governo è il titolare della cassa, le regioni sono responsabili della gestione)? Non crediamo sia possibile, perché nessuna organizzazione complessa, quale è quella preposta all’erogazione dei servizi sanitari, può efficacemente funzionare senza una chiara, univoca ed individuabile competenza complessiva. Non è possibile svincolare la qualità, la quantità, e la tempestività di erogazione delle prestazioni, peraltro tutte obbligatorie, dalla necessità di poter disporre in modo diretto della leva di finanziamento dell’assetto organizzativo, essenziale e funzionale al dovere istituzionale di propria competenza. Nel contempo non è immaginabile, né accettabile che la fiscalità nazionale, che opera in modo diretto e complessivo in altri sistemi prioritari ed essenziali per il Paese, quali la scuola e la formazione, la giustizia, i servizi comuni della pubblica amministrazione, svolga solamente funzioni “di entità pagatore”, come avviene nel caso del servizio sanitario nazionale. Se così stanno le cose, non si può che concludere che il modello “Bipartisan” messo in campo per la gestione della sanità si stia dimostrando non adeguato all’obiettivo. È stato pensato in una fase della vita del Paese nella quale si riteneva che la gestione di sistemi complessi, con accentuati connotati di potere sociale, politico ed economico dovesse avere una connotazione operativa non concentrata esclusivamente nelle prerogative delle strutture centrali dello Stato; in quel momento precluse, quasi per assioma, ad una parte della realtà politica italiana. Oltretutto le problematiche del debito pubblico, già allora comunque evidenti, non avevano ancora assunto la caratteristica dirompente oggi in essere, se si pensa che il debito pubblico ha ormai superato 2200 miliardi di euro. Quindi non ci sono più, complessivamente, le condizioni per perseverare con un modello operativo del sistema sanitario qual è quello in atto. Bisogna intervenire con un progetto di riforma radicale ed innovativo, che possa preservare l’essenzialità degli obiettivi dell’unitarietà, della qualità, dell’efficienza, e (nei limiti del possibile) della gratuità nell’erogazione delle prestazioni; ma che nel contempo definisca compiutamente la competenza pubblica centrale (authority della sanità) nella definizione delle quantità e delle dimensioni delle prestazioni erogabili, sulla base delle risorse finanziarie disponibili. Si deve in sostanza stabilire un nesso chiaro, netto ed inderogabile tra risorse finanziarie disponibili e prestazioni erogabili. Ciò può comportare che le strutture operative che erogano le prestazioni in questione non debbano avere limitazioni e/o prefigurazione di assetto proprietario.
Torneremo prossimamente sull’argomento, prospettando le puntuali ed articolate indicazioni del Pri, che possano anche rispondere adeguatamente agli obiettivi, ai vincoli, ed agli strumenti prima evidenziati per un’efficace gestione del sistema sanitario nazionale.

Roma, 6 novembre 2015